Api, sentinelle ambientali, per monitorare la salute delle discariche
Inquinamento diffuso, cambiamenti climatici, uso di prodotti fitosanitari, ma anche presenza di metalli pesanti e polveri sottili: le api, piccoli ed affascinanti insetti con un potenziale sconosciuto ai molti, rappresentano i guardiani della nostra sopravvivenza e proprio su di loro abbiamo tanto da imparare per indagare lo stato dell’ambiente e dell’aria che respiriamo. Giocano un ruolo essenziale negli ecosistemi come insetti impollinatori, estraggono dal nettare dei fiori un prodotto naturale per eccellenza, ed ora diventano anche delle cosiddette “sentinelle ambientali” in virtù della loro organizzazione sociale e della loro sensibilità, rappresentando alcune tra le specie più affidabili per il ruolo di bioindicatori della qualità dell’aria, le api sono fondamentali anche per la vita dell’uomo e per tal motivo è fondamentale controllarne costantemente la salute. Questi insetti vengono scelti proprio perché riescono a monitorare tutti i comparti ambientali: la vegetazione, le particelle sospese nell’aria dove volano, l’acqua dove bevono, il suolo dove si fermano. Se dopotutto questo insetto è una formidabile macchina per la raccolta del polline, perché non dovrebbe raccogliere anche polvere e sporcizia, e dunque anche le sostanze nocive di cui l’aria è troppo spesso satura, a causa delle attività dissennate di alcuni uomini?
Le api vengono così utilizzate oggi, ad esempio, per misurare la qualità dell’aria come nel progetto “Bee-Kaeser" che usa proprio degli alveari per monitorare l'inquinamento in 20 città italiane (da Milano a Palermo, da Napoli a Bolzano, passando per Torino, Lecce, Bologna e Cuneo), concentrando le proprie indagini sulla presenza di piombo, nichel, cadmio e cromo nei campioni di miele raccolto nelle città analizzate. Non è strano poi neanche in una discarica trovare delle arnie posizionate una di fianco all’altra con all’interno migliaia di api messe lì con il compito di monitorare e verificare la qualità dell’aria che si respira e la salubrità del particolare luogo sensibile e soggetto ad un maggior rischio di inquinamento come può essere quello di un’azienda che si occupa di raccolta e smaltimento dei rifiuti. L’obiettivo di queste iniziative diventa qui proprio quello di tenere sotto controllo il livello di inquinanti attraverso l’analisi in laboratorio del miele prodotto dalle api, a maggior ragione in un’area critica per via della forte presenza di rifiuti da smaltire, che necessita di continui ed accurati controlli. Il biomonitoraggio delle api rappresenta in questi termini uno strumento innovativo applicato a studi ambientali che permette di verificare le possibili variazioni ecologiche dovute all’effetto di sostanze inquinanti presenti specialmente in aree complesse come quelle di tipo urbano, industriale o agricolo. Esperimenti così mettono alla luce un nuovo ed alternativo modo per rilevare biologicamente l’inquinamento, modus operandi che negli anni si sta espandendo anche ad altre realtà della penisola. Impossibile non citare qui l’esempio della Società Barricalla che, fra i tanti modi di tenere sotto controllo gli effetti sull’ambiente dell’attività di smaltimento, ha scelto di utilizzare dei bioindicatori quali le api e, fino a ottobre 2016, il mais. Nonostante la situazione difficile in tutta Europa per questi insetti, sensibilissimi a ogni forma di inquinamento, attraverso l’analisi del miele prodotto nel sito interessato, confrontato poi con quello realizzato in una normale zona rurale, si va così alla ricerca di concentrazioni anomale di inquinanti, per assicurare che ogni fase dello smaltimento sia svolta nella maniera più corretta e sostenibile possibile.
Le api sono utilizzate, inoltre, anche per valutare l’inquinamento in un’area degradata come quella della Terra dei fuochi dove sorgono numerose discariche pubbliche ormai chiuse. Analizzando i campioni di cera, miele e le api stesse, si cercano così metalli pesanti, in particolare cadmio e piombo, che sono inseriti nella lista europea degli inquinanti per i quali è richiesta una priorità di indagine. Il progetto “CARA Terra” (Caserta Apicoltura Rilevamento Ambientale) vede così famiglie di api tra le 10 e le 15mila bottinatrici che svolgono nelle loro perlustrazioni circa 10 milioni di microprelievi nell’aria, tra la vegetazione, nell’acqua e sulla terra, su una superficie di circa 7 km quadrati. E così attraverso esami chimici mirati, si controllano gli inquinanti che derivano, in particolare, dalla combustione di rifiuti urbani. Ma le analisi sono state estese anche altri elementi chimici. Si controlla poi tramite le gabbie “under basket” che il numero degli insetti morti negli alveari sia naturale oppure eccessivo, per capire se ci sono fattori esterni che ne compromettono il benessere. Si ottiene così in tempo reale una fotografia dell’inquinamento e delle eventuali variazioni nel corso del tempo. Non è impossibile così trovare ad esempio un apiario con particelle d’oro al suo interno, probabilmente prelevate da discariche di materiale informatico, oppure di di titanio, legate invece a probabili residui bellici della seconda guerra mondiale. Una delle dieci stazioni di biomonitoraggio del progetto è stata posizionata a circa 20 km dall’area ex Pozzi di Calvi Risorta, dove nel 2015 è stata trovata la discarica sotterranea più grande d’Europa (25 ettari per 2 milioni di metri cubi di rifiuti). Un progetto quello di cui si parla che nasce dall’esigenza delle persone di continuare a operare in un territorio ferito da situazioni di carattere ambientale, con un tentativo di riscatto: provare a invertire il calo di vendite di prodotti agricoli, che ha segnato il boom mediatico sulla Terra dei Fuochi e mostrare, con l’aiuto dei dati raccolti tramite le api, la possibile sicurezza alimentare delle coltivazioni. In una relazione conclusiva il direttore scientifico afferma che “nei terreni biomonitorati dalle api non sono state rilevate presenze inquinanti biodisponibili in quantità tali da pregiudicare la sicurezza delle produzioni agroalimentari locali”. Tutti i mieli analizzati qui non presentano valori di elementi chimici superiori a quelli ritenuti accettabili in altri prodotti alimentari, ma per avere un quadro più completo è necessario ripetere il biomonitoraggio per almeno tre anni nella consapevolezza, come affermano gli studiosi, che “indicazioni di maggior valore potranno scaturire solo dall’analisi delle oscillazioni delle quantità di eventuali inquinanti nel tempo”.